Don Cadeddu era solito invitarci a cena, quando il peso degli anni ancora non gli impediva di cucinare, apparecchiare e trascorrere con alcuni sacerdoti delle bellissime serate.

Stava molto bene con i preti giovani, i quali nutrivano per lui una grande venerazione. E’ stato un uomo gioviale, amante della compagnia, capace di rallegrare con ricordi e battute tutti quei momenti nei quali ci si incontrava per chiacchierare e stare insieme.

È stato viceparroco a Pula dal 52 al 59, dove, lo posso dire, è ricordato con grande affetto e molto amato; viceparroco a Villasor fino al 1960 e parroco a Ortacesus fino al 1968. Dal 1971 ha vissuto a Sinnai per motivi di salute. Ha celebrato con fedeltà tutti i giorni la S. Messa delle 8.30 e la Messa dei bambini, la domenica.

Da chierichetto mi piaceva servire la sua Messa, durante le vacanze estive. Era necessario aiutarlo perché, ogni volta, per salire e scendere il gradino della sacristia, aveva bisogno di poggiarsi sul braccio. Facevamo a gara per prestare il braccio a don Cadeddu. È stato un Sinnaese doc, amante della cultura sinnaese, amatissimo dai sinnaesi per il suo tratto elegante e paterno. Anche nel sorriso lasciava trasparire la bellezza della misericordia di Dio. Per questo la fila al suo confessionale è stata una costante per tutti gli anni in cui ha esercitato il suo ministero, qui in parrocchia. Non esito a dire che a Sinnai la gente si confessa, perché ha goduto per più di trent’anni della presenza di un confessore instancabile. Anche quando si è ritirato nella casa di riposo, ha continuato ad accogliere tutti, soprattutto per le confessioni. Dignitosissimo, sempre ordinato nel vestire, non si faceva mai mancare due cose: un candido fazzoletto profumato con qualche goccia di colonia, che tirava fuori dalla tasca e usava solo ed esclusivamente per la celebrazione della Messa e una mentina che metteva in bocca prima di recarsi al confessionale, perché, mi diceva: «noi sacerdoti dobbiamo parlare con tanta gente e dobbiamo presentarci sempre a posto».

Era appassionatissimo della cultura sarda e in modo particolare dell’idioma sardo. Ci teneva tantissimo a sostenere che il sardo non è un dialetto, ma una lingua neolatina. Molti autori in lingua sarda facevano riferimento a lui prima di pubblicare le loro opere. Parlava un sardo forbito, elegante, ricercato nella terminologia. Le sue omelie in lingua sarda le ricordiamo tutti con grande affetto. Per me, nutriva un affetto particolare; è stato un padre. Ricordo ancora l’emozione, nel momento in cui, appena ordinato sacerdote mi baciò le mani con grande devozione. Ho avuto la gioia di poterlo incontrare, per anni, quasi ogni mercoledì.

Ho sempre trovato in lui un esempio autentico di vita sacerdotale e di amore a Gesù Cristo e alla Chiesa. Aveva una grande devozione per la Madonna e per il sacratissimo cuore di Gesù. A lui ho potuto raccontare le mie pene e le mie gioie. A lui ho confessato i miei peccati. Da lui ho ricevuto grande consolazione e sprone per camminare, senza stancarmi, nella vocazione. Ho ascoltato le sue confessioni, inizialmente con un po’ di imbarazzo. Ricordo che la prima volta che mi chiese di confessarlo, ero prete da un giorno. Non comprendevo che per me sarebbe stata una grande grazia. Come hanno titolato i giornali, «se n’è andato un pezzo di Sinnai». Aggiungo: è tornato in paradiso un prete buono che ha donato se stesso per la Chiesa, a tempo pieno. Ha ascoltato l’ultima confessione del suo ultimo penitente, qualche ora prima che tornasse al Padre, per godere in eterno della Sua infinita misericordia.  

don Marcello Loi





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